All’Accademia dei Georgofili i danni erano stati pesantissimi. Le acque avevano fatto sollevare alcuni pavimenti, asportato parte degli impiantiti, distrutto l’arredamento. L’acqua aveva raggiunto l’altezza di un metro e mezzo nella portineria e sommerso completamente i locali più bassi. Le opere danneggiate erano circa 35.000, di cui 10.000 di grande interesse storico e scientifico. Fin dal primo giorno, però, arrivarono ragazzi di tutte le età che chiedevano di lavorare. Il primo giorno erano già 31. Nei giorni successivi almeno una cinquantina partecipò ai lavori. Molti si erano costruiti delle specie di rastrelli, con pezzi di legno recuperati chissà dove, ottimi per spingere via il fango. Le giornate erano corte, e nelle stanze al pian terreno non si poteva lavorare a lungo perché alle cinque non si vedeva già più. Le candele erano introvabili, anche nelle chiese: ricordo che mia moglie riuscì a recuperarne qualcuna scambiandola con un lucchetto. Per fortuna uno studente che si offrì di portare una batteria per auto e di fare un piccolo impianto per la luce. Tutte le sere riportava la batteria a casa e la ricaricava durante la notte. Il lavoro, per quanto pesante, procedeva con allegria e io, che all’epoca ero assistente del Professor Gasparini, documentavo tutto con la mia Rolleicord. C’era stato perfino chi aveva portato un giradischi per sentire gli ultimi successi: la canzone più richiesta era Bang Bang di Cher. Quei giorni assunsero un valore che ben difficilmente ognuno di noi, prima, avrebbe saputo apprezzare: un grande patrimonio scientifico era stato posto in salvo. Ma, soprattutto, adulti e giovani avevano trascorso quel tempo lavorando gomito a gomito, animati da un fine comune.
Renzo Landi